Vita e morte di un masso

di Michele Motta

Deposito lasciato nel 2002-2003 dal ghiacciaio Fourneaux in alta Valle di Susa.

 

I depositi fluviali hanno ciottoli tutti all’incirca della stessa taglia: quella che la corrente, rallentando, non riesce più a trascinare con sé. I più grandi sono abbandonati prima o non sono erosi, quelli più minuti sono trasportati più a valle. Un ghiacciaio non opera questa selezione: trasporta indistintamente un granello di sabbia o un grande masso, fino a quando non li lascia sulle morene. Infatti nei suoi depositi si trovano accostati massi e pietre di dimensioni molto differenti.
Il masso può viaggiare sulla superficie del ghiacciaio o sepolto in esso. Nel primo caso conserverà la sua forma, ad esempio sarà un lastrone angoloso; nel secondo, specie se compie un lungo tragitto, smusserà gli angoli, la sua superficie sarà lucidata e presenterà solchi paralleli profondi generalmente non più di un millimetro. Questi solchi, detti “strie glaciali”, sono lasciati dai cristalli di minerali duri che hanno graffiato il masso durante il trasporto.
Le rocce costituite da granuli non omogenei per dimensione, comportamento meccanico o colore si disgregano per la contrazione e la dilatazione della superficie (per alternanza di caldo-freddo, gelodisgelo, umido-secco…) o per le azioni biologiche (radici di piante, muschi e licheni, corrosione chimica operata da alghe e batteri che vivono fra un granulo e l’altro). I granuli, trascinati dalla pioggia ai piedi del masso, s’incorporano al suolo e non lasciano tracce. Così gli erratici sono i soli testimoni della disgregazione, perché le loro superfici lucidate diventano granulose ed opache. Se la roccia presenta noduli o livelli di cristalli facilmente separabili, immersi in altri fortemente legati fra loro, l’ineguale disgregazione crea profonde cavità.