Le rocce a coppelle della Collina morenica

di Andrea Arcà

 

La collina morenica di Rivoli nasconde una ricchezza ambientale tanto più preziosa quanto più articolata nei suoi aspetti naturalistici, geologici e archeologici. Per quanto riguarda questi ultimi, se da una parte l’archeologia “di reperto” si può giovare delle notevoli scoperte ottocentesche, (tra i reperti più importanti, pagaie e manufatti in legno, una spada a codolo "tipo Trana" della fine della media età del Bronzo, un deposito di sette asce votive del Bronzo Antico, forme di fusione in talcoscisto cloritico del Bronzo Finale) esiste dall’altra un’archeologia parallela che vede proprio in alcuni massi erratici un supporto atto ad accogliere i segni lasciati dall’uomo. È quel settore dell’archeologia che studia i petroglifi, un’archeologia rupestre che analizza le tracce perenni lasciate sui massi incisi.
Quella dell’anfiteatro morenico è un’arte rupestre non figurativa, composta da segni il cui significato non è dato da ciò che raffigurano, ma dalla loro funzione strumentale di probabili raccoglitori. Piccole coppe, e dunque coppelle — scodelle nell’accezione ottocentesca — scavate nella roccia, sulle quali molto si è dibattuto, fino ad elencare ben 54 teorie interpretative o anche 104 possibili significati, spaziando dalla rappresentazione di costellazioni al catasto del bestiame, fino a una sorta di registro anagrafico; al riguardo gli orientamenti più aggiornati prediligono interpretazioni legate ad attività di deposito di offerte, probabilmente alimentari e liquide, considerando che la disposizione di coppelle e canaletti spesso evoca una sorta di “rete idrica”; attività volte vuoi a ingraziarsi possibili divinità delle cime, vuoi a marcare in segno di possesso tribale la sovranità di determinati territori. Tali interpretazioni sono favorite dalle posizione per lo più dominante delle superfici coppellate, spesso situate in luoghi intermedi rispetto ai centri abitati, favorendo così accezioni confinarie nei vari percorsi esegetici. Tali accezioni potrebbero trovare conferma proprio nella sintassi distributiva delle coppelle della collina morenica, che vede una scelta preferenziale di aree periferiche, se non di vero e proprio confine, come è evidente lungo la cresta del Monsagnasco.
Per quanto riguarda la cronologia, gli orientamenti più recenti tendono a escludere una generica e indistinta datazione ai periodi più antichi della preistoria. In base ai dati di contesto, di associazione e di sovrapposizione, lo scrivente ritiene che le rocce coppellate alpine siano comprese in un arco cronologico dal Bronzo Medio-Recente a età romana, con prosecuzione “deteriorata” fino a fasi medievali e moderne.

Storia delle ricerche: la geologia incontra l'archeologia

Nella collina morenica le rocce a coppelle punteggiano in maniera significativa il territorio, in alcuni casi secondo una certa concentrazione, come sul Truc Monsagnasco, sito che anche per questi aspetti, oltre che per quelli geo-naturalistici, andrebbe strenuamente difeso dall’espansione urbana. È proprio qui che il binomio geologiaarcheologia trova la sua migliore espressione, già prefigurata dagli studi ottocenteschi, la cui matrice geologica ha favorito la scoperta dei petroglifi. Una collina di verde posta a poco più di tre km dalla cintura torinese e a poco più di otto dal confine comunale di Torino. Un luogo particolarmente adatto per attività didattiche all’aperto, come hanno dimostrato i laboratori condotti dal Gruppo Ricerche Cultura Montana (d’ora in poi GRCM).
Le rocce coppellate dell’area morenica di Rivoli godono di un particolare primato. Sono le prime segnalate in Italia, nel 1881, grazie alla pubblicazione di Giuseppe Piolti. Si tratterebbe anche delle prime incisioni rupestri, se non fosse che solo tredici anni prima erano stati pubblicati gli schizzi a matita di 115 figure della Valle delle Meraviglie, allora ancora piemontese. Un’altra zona morenica, la Spina Verde di Como, verrà pochi anni dopo indagata, e risulterà anch’essa molto ricca di rocce coppellate, così come lo sono le colline di modellazione glaciale di Ivrea (Paraj Auta).
Come già anticipato, nel 1881, all’interno degli Atti della Reale accademia delle Scienze di Torino, Giuseppe Piolti, assistente al Museo Mineralogico della Reale Università, presentava una breve Nota sopra alcune pietre a scodelle dell’anfiteatro morenico di Rivoli. La scoperta della prima roccia da lui segnalata (fig.2), conseguenza delle sue attività di ricerca geologica nell’anfiteatro, era stata stimolata dall’opera dello zoologo, geologo (in particolare glaciologo) e preistorico francotedesco Édouard Desor (1811-1882), autore di una monografia sulle rocce a coppelle, il quale invitava a porre attenzione:
«sopra certe escavazioni che incontrasi alla superficie di alcuni massi erratici (…) [le quali] non sarebbero che antichi altari, su cui si sacrificavano vittime, il cui sangue sarebbe stato raccolto nelle accennate scodelle» (E. Desor, Les Pierres à écuelles, Ginevra 1878).
Se da una parte è significativo l’invito rivolto sia a geologi che ad archeologi, accostamento non casuale vista la comune pratica di indagine sul territorio, ancora più ricco di interesse nel caso di una zona morenica, dove entrano in campo anche gli studi sul glacialismo, è altrettanto significativa l’ipotesi sacrificale, che vede nel versamento di liquidi la chiave per la soluzione dell’enigma “coppelle”. Tale chiave interpretativa sembra valida ancora oggi, pur stemperando l’idea del sacrificio cruento nell’ipotesi di più semplici offerte votive. Riguardo alle prove archeologiche di pratiche rituali e cerimoniali, non sono certamente casuali le coincidenze strutturali tra alcune “aree attrezzate coppellate” europee: si possono citare la roccia di Susa (popolazione celtica dei Segusini), l’altare rupestre del castro di Ulaca in Spagna (etnia celtica dei Vettoni) e infine l’area cerimoniale di Panóias in Portogallo, dove l’uso sacrificale è testimoniato da dediche in latino e in greco, fatte incidere dal senatore Caio Calpurnio Rufino in onore di Serapide e delle divinità dell’etnia indigena dei Lapitei. In tutti questi casi sono presenti superfici coppellate e scalinate scolpite nella roccia, le quali, superando un modesto dislivello, rispondevano a scopi scenografici, facilitando l’accesso a una sorta di “palco” o altare, dove le cerimonie sacrificali-offertorie potevano fare uso delle vasche e delle cavità coppelliformi. I contesti sono del III-I sec. a.C. per Ulaca e della fine II-inizi III sec. d.C. per Panóias.
Un secondo articolo del Piolti veniva pubblicato nel 1882; qui l’autore sosteneva l’utilizzo di un utensile in pietra e metteva in guardia dal confondere le “pietre a segnali” con le pietre di confine, dette anche pere ciavoire, recanti croci o linee.
Pochi anni dopo, gli autori del libro Villarbasse, la sua torre – I suoi signori, R. Brayda e F. Rondolino (1886), rendevano nota la presenza di un altro masso a coppelle, che “segna nella regione di Basse gli incunaboli di Villarbasse, la culla dei suoi primi abitatori, la data più antica delle sue memorie” (SUS 5).
Bisogna aspettare quasi un secolo perché le rocce incise della collina morenica salgano di nuovo agli onori della stampa. Ciò grazie all’opera meticolosa di Alberto Santacroce, il quale, oltre a passare in rassegna le evidenze pregresse, scopre e segnala una nuova roccia coppellata sul Monsagnasco (SUS19). Gran parte dello stesso materiale viene trattato in forma di schede ne La Pietra e il Segno, catalogo delle incisioni della Bassa Valle di Susa e Valcenischia, curato dal GRCM nel 1990. Qui un’altra nuova roccia a coppelle viene segnalata, ancora sul Monsagnasco (SUS 220).
Nello stesso volume è pregevole il contributo Petroglifi negli archivi, a cura di Luca Patria, che data al 1330, grazie a un documento dell’archivio storico di Torino, l’esecuzione della croce di confine tra Rivoli e Rivalta. Tale croce, citata anche dal Piolti, è ancora oggi presente presso la sommità del Monsagnasco, sulla roccia nota come Pera Crosà (fig. 1). Ecco la leggenda ad essa collegata, così come raccontata sul Monsagnasco nel 2001 a una classe partecipante a un laboratorio didattico: «Due signori, che abbiamo incontrato nel bosco, ci hanno raccontato la leggenda della Madonna e del diavolo. Essi si sono incontrati vicino ad una pietra, dove la Madonna ha lasciato il segno della croce e il diavolo l’impronta della sua zampa».

 

Catalogo delle rocce

È opportuno a questo punto passare in rassegna le principali rocce incise dell’area. A titolo di curiosità, va detto che proprio la SUS 1, della quale Piolti pubblica nel 1881 un’accurata illustrazione a tratto, che è il primo rilievo di roccia coppellata in Italia, è stata anche la prima, quasi cent’anni dopo, ad essere rilevata dal GRCM nel 1975. Si deve invece allo scrivente, su segnalazione all’amico e socio Leonardo Gribaudo, la scoperta nel 1986 dell’altra più importante roccia coppellata, la Monsagnasco 4.

 

SUS 1 Monsagnasco 1

SUS1 Monsagnasco 1. Foto e rilievo (archivio Grcm).

 

Comune di Rivoli (TO), località Monsagnasco, quota 404 m. Cresta della collina di Monsagnasco, bosco ceduo di castagni. Su sentiero. Masso stabile di 190 x 90 cm, superficie piana-irregolare, inclinazione da 10 a 40 gradi. Micascisto quarzoso. Incisioni: 61 coppelle, 4 canaletti, 1 vaschetta pediforme.
La superficie incisa è quasi piana, di forma grossolanamente triangolare, cosparsa di coppelle regolari e in molti casi consunte (fig. 2). Spiccano 6 coppelle maggiori (diametro massimo 9 cm) e profonde. Di queste, due sono unite da canaletto ansato che sbocca al margine della superficie incisa, e altre due unite da canaletti ansati alla vaschetta maggiore, che presenta una buona somiglianza con l’impronta di un piede, di dimensioni abbondanti. Piolti tentò un saggio di scavo alla base della pietra, sino alla profondità di 40-50 cm, trovando solo una gran quantità di «ciottoli glaciali di quarzo ed altre rocce».

 

SUS 19 Monsagnasco 3

SUS 19 Monsagnasco 3, foto e rilievo (Archivio Grcm).

 

Comune di Rivoli (TO), località Monsagnasco, quota 400 m. Cresta della collina di Monsagnasco, bosco ceduo di castagni. Masso stabile di 140 x 110 cm, superficie piana-irregolare, inclinazione da 5 a 10 gradi. Incisioni: 19 coppelle.
Blocco trapezoidale affiorante composto prevalentemente di quarzo (fig. 3). Presenta coppelle medio-grandi; una in particolare raggiunge i 18 cm di diametro. Il masso è diviso in due piani da un gradino naturale. Il bordo rivolto a nord si presenta squadrato e piano. Scoperto da A. Santacroce.

 

SUS 220 Monsagnasco 4

SUS 220 Monsagnasco 4, rilievo e foto (Archivio Grcm).

 

Comune di Rivoli (TO), località Monsagnasco, quota 390 m. Inverso, zona morenica, bosco ceduo di castagni. Masso amovibile di 100 x 140 cm, superficie granulata e piana, inclinazione 30 gradi. Incisioni: 51 coppelle, 4 coppelle grandi, 3 canaletti.
La roccia è posta quasi sulla sommità della collina morenica, in un pendio boschivo esposto a nord. La pietra presenta una superficie granulare, con striature lungo l’asse orizzontale (fig. 4). Le quattro coppelle maggiori sono disposte a trapezio e unite da canaletti. La disposizione non pare del tutto casuale, con le coppelle sistemate a ventaglio attorno a una delle quattro più grandi e allineate lungo direttrici curve. Scoperta dal GRCM nel 1986.

 

SUS 3 Reano Pera 'd la Spina

SUS 3 Reano Pera ’d la Spina, ripresa generale (Archivio Grcm).

 

Comune di Reano, località Spina, quota 480 m. Pressi della cresta sommitale nord della collina morenica, che è una fra le zone più elevate dell’intero comprensorio. Lungo la vecchia strada comunale da Reano a Rivoli. Masso erratico di forma sub-cilindrica, 7 x 3 metri, altezza fino a 3 m, superficie superiore piana inclinata in media di 15°. Anfibolite mista a diorite. Incisioni: 11 coppelle poco profonde, “tasche” sulle pareti verticali.
Il grande erratico (fig. 5), già coperto da una fitta coltre di rampicanti, è stato da non molti anni ripulito, mettendo nuovamente in luce la superficie superiore, che reca alcune coppelle non molto profonde e poco visibili. Proprio nei pressi di questo masso è prevista dal piano regolatore di Reano la realizzazione della circonvallazione e di una rotonda. Si tratterebbe di una scelta non certo felice, come è al contrario molto felice la splendida posizione ambientale della Pera ’d la Spina.

 

SUS 5 Villarbasse Pera 'd le Sacocè

SUS 5 Villarbasse Pera ’d le Sacòce, rilievo e foto (Archivio Grcm); a sinistra il disegno a tratto di fine Ottocento (da R. Brayda, F. Rondolino, Villarbasse, la sua torre – I suoi signori, studii medioevali, Torino 1986).

Comune di Villarbasse, località Valletta di Basse, quota 390 m. A mezzacosta sul versante esposto a nord-est della Valletta di Basse, fitto bosco ceduo di castagni e acacie. Non su sentiero. Grosso masso stabile e dominante, superficie incisa piana a forma di poligono irregolare di circa 3 x 3 m. Ofiolite (prasinite). Incisioni: 11 coppelle, 6 “tasche”.
È la cosiddetta Pera ’d le Sacòce (fig. 6), un grosso erratico giacente a mezzacosta, alto circa 5 m, con una superficie piana superiore, sulla quale sono incise undici coppelle regolari di medie dimensioni e poco profonde. La disposizione di sette di esse presenta una certa rassomiglianza con la configurazione dell’Orsa Maggiore, peraltro simmetricamente rovesciata. Le cosiddette “tasche”, tafoni naturali al cui riguardo venne ipotizzato un utilizzo offertorio, sembrano almeno in due casi avere subìto una regolarizzazione artificiale.

 

SUS 213 S. Maria in Borgo Vecchio (Losa delle coppelle)

Particolare Losa delle Coppelle

 

Comune di Avigliana, località chiesa di S. Maria in Borgovecchio, quota 400 m. Proveniente dalla torbiera di Trana. Lastrone mobile, 130 x 150 x 30 cm, superficie incisa microsfaldata e piana. Incisioni: 25 coppelle.
La pietra è conservata nella chiesa di S. Maria in Borgovecchio, dove è stata portata nel 1986. Si presenta come una losa poligonale, spessa mediamente 20 cm. Si notano unicamente 25 coppelle di diametro da 4 a 6 cm. La losa, del peso di circa cinque quintali, era situata in precedenza ai margini della torbiera di Trana-Avigliana, dove agevolava il passaggio di un piccolo fosso, con la faccia incisa rivolta verso il basso. Fu portata in tale posizione all’incirca negli anni ’30 del ’900, prelevata dal contrafforte che va da Trana ad Avigliana. Appartiene quindi più propriamente al bacino idrogeologico della Val Sangone. Per quanto riguarda la disposizione delle coppelle, si è ipotizzato di potervi riconoscere la costellazione dell’Orsa Maggiore.

 

Le attività didattiche: antichi sassi nella collina morenica

Dal 2001 e fino al 2003 alcune classi di scuola elementare e media inferiore hanno portato avanti attività didattiche di archeologia rupestre sulle rocce incise del Monsagnasco. Si è trattato del laboratorio Sui Sentieri dell'arte rupestre – Antichi Sassi nella collina Morenica, realizzato dallo scrivente e dal GRCM di Torino per l'Assessorato al Sistema Educativo del Comune di Torino, che ha anche visto la redazione di schede, pubblicate su Internet (www.webscuola.net).
Le attività prevedevano la divisione di ogni classe in cinque gruppi: schedatori, disegnatori, rilevatori, fotografi e naturalisti. Ogni gruppo agiva nei pressi della roccia incisa: compilazione delle schede, pulizia della roccia e rilievo a contatto con ricalco su fogli di plastica trasparente, disegno dell'ambiente e del paesaggio, documentazione fotografica e infine raccolta e schedatura di campioni botanici e mineralogici. Sono stati redatti appositi testi, per rispondere a domande del tipo: "perché hanno fatto le coppelle?", così come brevi racconti, giochi e poesie. Si è trattato in sostanza della riproposizione in chiave didattica di un percorso di documentazione di archeologica rupestre, nel corso del quale bambini e ragazzi si sono trasformati in veri e propri "scienziati in erba", secondo la definizione di una classe partecipante.
Oltre all'entusiasmo con il quale le attività sono state affrontate, vanno sottolineate le peculiari caratteristiche della località scelta, che non solo offre un ambiente naturale intatto a pochi chilometri dalle aree urbane, ma che permette anche la "scoperta" di interessanti monumenti archeologici. In questo senso si auspica la concretizzazione di un'opportuna salvaguardia, grazie anche agli opportuni strumenti legislativi, in primis l'approvanda legge regionale per la tutela dei massi erratici.